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Alla scoperta dei Monti Liguri di Levante

Ci sono cose che non possono essere raccontate. Per tutto il resto ci sarà questo blog post in cui spero troverete almeno una ragione per mettervi in viaggio e seguire le tracce della Super Randonnée dei Monti Liguri di Levante.

Giorno 1: Genova – Albera Ligure, provincia di Alessandria (Piemonte)

Sono le 6:25 di Venerdì Santo. Mattia, Federico, Patrick ed io siamo sul treno che da Milano ci avrebbe portato a Genova. Chi approfitta di queste due ore di viaggio per schiacciare un pisolino, chi per fare colazione con una busta di farro e ceci, chi per guardare lo schermo del telefono e chi fuori dal finestrino.

Tre uomini e una donna. Tre italiani e un tedesco. Tre regioni da attraversare e un unico percorso da seguire.

Un trailer di tutto rispetto.

Arrivati a Genova abbiamo agganciato il piede sul pedale alle 8:50 circa. Ci siamo allontanati subito dala città per dirigerci verso la prima asperità di giornata: il Monte Fasce.

“Hai scalato più volte tu il Monte Fasce di molti genovesi”

Le parole di un messaggio che ho ricevuto in direct su Instagram. In effetti dall’inizio dell’anno era la terza volta che mi ritrovavo su quella salita. Mai uguale e mai banale. In cima abbiamo incontrato un ciclista che vedendo le nostre bici cariche con borse da bikepacking al seguito ci ha chiesto dove fossimo diretti.

Si è soliti dire che la curiosità sia donna, ma secondo si dice male.

Ci siamo lasciati il Monte Fasce e le sue antenne alle spalle e abbiamo imboccato la bellissima discesa panoramica che ci avrebbe accompagnato ai piedi della seconda asperità di giornata, di cui però non sapevamo ancora il nome.

Scoprire i passi e le salite man mano che venivano scalate è stata una costante di questo tour. Abbiamo pedalato affidandoci completamente alla traccia scaricata dal sito della randonnée e caricata sui nostri ciclocomputer.

Dopo circa 14km e 800m abbondanti di ascesa siamo arrivati ai piedi del cartello che riportava scritto Passo del Portello su cui ho prontamente attaccato uno dei miei adesivi.

Con l’arrivo di Federico, dopo aver simulato un tifo degno di un finale di tappa del Giro d’Italia, eravamo pronti per proseguire.

Transitando per vari paesini, visto l’orario, abbiamo iniziato ad aguzzare la vista in cerca di qualche panificio aperto e a Torriglia, dopo un paio di tentativi falliti, siamo riusciti a infilarci in una Crai in chiusura svuotandole l’ultimo vassoio di focaccia rimasta. I primi di innumerevoli tranci che avremmo mangiato nel corso delle giornate a seguire.

Abbiamo preso possesso di una piazzetta e chi sedendosi sulla panchina chi per terra, come la sottoscritta, abbiamo banchettato sotto il sole delle 13.

Rimetterci in marcia a stomaco pieno è stato sicuramente più piacevole. Abbiamo imboccato la strada per il Crocefieschi da Monte Maggio e infine il Valico di San Fermo. Last but not least, perché questa salita ci è davvero piaciuta. Si articola su una sinuosa stradina stretta, con diversi tornanti, per nulla trafficata. Abbiamo incrociato soltanto un gruppo di sorridenti scout che, se possibile, mi hanno messo ancor più di buonumore di quanto non lo fossi già di mio.

Non ci restava che raggiungere la nostra prima sistemazione, l’hotel di cui ho sentito tanto parlare nei giorni e nelle ore precedenti: l’Hotel Bruno.

Mattia e Fede vi avevano già pernottato durante la scorsa estate al termine della prima tappa dell’Appennino Bike Tour. I loro racconti non mi lasciavano presagire nulla di buono ma dato che la zona non ci ha offerto alternative abbiamo coraggiosamente deciso di prenotare lo stesso.

Non sarà l’hotel più sfarzoso del mondo, ma tutti noi siamo stati concordi nell’averlo trovato accogliente e con tutto quello che un bikepacker ha bisogno: una birra rinfrescante di benvenuto, una camera silenziosa con una doccia e un letto comodo dove riposare, una cena con cucina tipica casalinga e, aspetto da non sottovalutare, personale alla mano, cordiale e disponibile di fronte ad ogni nostra richiesta.

Giorno 2: Albera Ligure – Rocca Corvi, frazione Ottone (Emilia Romagna)

Alle 6:30 di sabato mattina ho aperto gli occhi. Mi sono svegliata prima che suonasse la sveglia, e così sarebbe accaduto anche nei giorni a seguire. Dopo una frettolosa colazione, aver pressato di nuovo tutto nelle borse ed averle risistemate sulle bici alle 8:30 ci siamo rimessi in marcia.

Scontrarsi in quelle prime pedalate con l’aria frizzante del mattino ha contribuito a svegliarci a dovere in vista della prima salita che avremmo affrontato: le Capanne di Carrega.

Un’altra costante di questo viaggio, e non solo di questo, è stato leggere i nomi dei paesi scritti sui cartelli storpiandoli. Così Carrega è diventato CaDrega, Sorrivi SorriDi, Vigogna VERgogna, Lorsica ha avuto addirittura due alternative, Corsica o L’OTRica. La fantasia non ci manca.

Capanne di Carrega è stata tra le vette più alte dell’intero giro con i suoi 1400m di altitudine. Una salita lunga, che ci ha fatto guadagnare in poco meno di 20km quasi 1000m di dislivello, alternando tratti più e meno ripidi, ma ripagandoci con un paesaggio da toglierci il fiato, in tutti i sensi.

Il tempo quando sono in bici vola, nel vero senso della parola. Le ore passano come fossero minuti. Arrivati a Montebruno, prima della salita successiva, abbiamo trovato una panetteria dove comprare un paio di torte salate da mangiare per pranzo da accompagnare all’immancabile Coca Cola.

A contrario del nome l’ascesa verso Barbagelata è stata tutt’altro che “gelata”. Il sole era alto e batteva sulle parti scoperte dei nostri copri. Al pari di una strada dove sono in corso lavori per il rifacimento della segnaletica orizzontale così il sole stava tracciando linee sulla pelle delle nostre mani, braccia e gambe aiutato dalle nostre maglie e salopette.

Arrivata al cartello come consuetudine mi sono fermata per attaccare il mio solito adesivo. Operazione che è risultata essere più complicata del previsto dato che mi sono praticamente dovuta arrampicare sul palo per raggiungere l’insegna. Dopo qualche acrobazia ce l’ho fatta, e soddisfatta del lavoro compiuto mi sono rimessa in sella.

A Barbagelata è seguito il Passo della Forcella, una salita lunga ma estremamente dolce in quanto a pendenze, che un po’ alla volta ci ha fatto accumulare circa 800m di dislivello senza sforzi esagerati. Nonostante ciò raggiunta la cima mi sono buttata sul prato ricordandomi a stento come mi chiamassi.

I miei compagni di viaggio mi hanno seguito a ruota. Dopo un power nap di una decina di minuti o poco più, con uno sguardo all’orologio e uno di intesa abbiamo optato per riprendere il cammino per non tardare troppo l’arrivo in hotel.

Erano da poco passate le 17 e avevamo iniziato il Passo del Fregarolo, passo che avevo percorso il sabato precedente con Mattia nel tragitto Milano – Rapallo ma in senso contrario.

Ad un tratto mentre stavo pedalando ho sentito una piccola goccia sfiorarmi la mano. Ho alzato lo sguardo e mi sono accorta solo allora di come il cielo si fosse tinto di grigio e in lontananza, dietro di me, si scorgesse un arcobaleno.

Nel frattempo si era alzato il vento che non mi ha fatto presagire nulla di buono. Dovevamo darci una mossa per portare a casa la pelle, possibilmente asciutta.

Con un po’ di fortuna dalla nostra ce l’abbiamo fatta e siamo riusciti a raggiungere l’Albergo Da Gianni non prima, preda di un attacco di fame collettivo, di aver fatto una breve sosta valevole come aperitivo itinerante in una drogheria a Loco.

L’Albergo Ristorante Pizzeria Da Gianni resta sulla strada statale, l’unico edificio nei dintorni con una piccola insegna che da poco nell’occhio. Le camere son modeste ma anche in questo caso con tutto quello che faceva al caso nostro, soprattutto facendo riferimento alla cena e alla colazione: un banchetto degno dei componenti della famiglia reale.

La classica cucina casalinga semplice ma ricca, sia come sapori che come portate. Abbiamo mangiato e bevuto come qualsiasi bikepacker desidererebbe al termine di una giornata trascorsa a pedalare. Dire che siamo rimasti soddisfatti è dir poco. Siamo andati a dormire felici, forse un po’ appesantiti ma comunque felici.

Giorno 3: Rocca Corvi – Brugnato, provincia di La Spezia (Liguria)

La domenica mattina ci siamo svegliati con il profumo dell’arrosto con le patate che aleggiava già di buonora nel vano scala. Era la domenica di Pasqua e c’era chi era già al lavoro ai fornelli.

La colazione è stata degna della cena, generosa ed abbondante. Dopo esserci complimentati con la padrona nonché cuoca, abbiamo salutato con la promessa che ci saremmo rivisti in uno dei nostri prossimi viaggi e ci siam diretti in direzione di Ottone.

Ottone è stato il paese dove Mattia ed io nella tratta Milano – Rapallo abbiamo sostato il tempo di mangiare seduti su una panchina, nel parchetto della piazza, una focaccia farcita al momento dalla signora di una drogheria del paese.

Da qui è iniziata l’ascesa verso il Pian della Prevetta. Vedendo due signori camminare lungo il ciglio della strada li ho salutati come faccio sempre con i passanti, e ho augurato loro buona Pasqua cercando di modulare il mio tono di voce, parecchio alto, per evitare di far venir loro un infarto in un giorno di festa.

Inizialmente abbiamo avuto qualche dubbio sui nomi dei passi o in generale delle salite scalate nella mattinata di domenica. In un primo momento abbiamo creduto di essere transitati dal Passo del Tomarlo che in realtà si è rivelato essere il Valico del Pescino, a cui è seguita Sella di Villanoce.

Quel che è certo è che una volta iniziato il Passo del Chiodo mi sono ritrovata con la ruota anteriore a terra. Tu chiamale se vuoi coincidenze.

Per fortuna non era stato un chiodo a farmi bucare. Sarebbe stata una questione ben più rognosa da risolvere.

Dopo questo inconveniente iniziale è iniziata la magia. La strada si faceva spazio in una fitta foresta di alberi. Le folate di vento sollevavano le foglie che prendevano a danzare nell’aria come se seguissero i passi di una coreografia. Sembrava di essere in una scena di un film o cartone animato. All’unanimità è stato eletto uno dei passi più belli mai fatti.

Arrivati in cima, sulle note di Maledetta primavera messa in riproduzione da Fede sul suo telefono, scattiamo una foto davanti al cartello del passo con un “ospite speciale”: un camper parcheggiato proprio lì davanti.

Patrick mi ha fatto notare di come quel punto fosse l’unico perfettamente pianeggiante, motivo per cui probabilmente il camper aveva deciso di sostare proprio lì. Questa non era stata l’unica acuta osservazione del nostro ingegnere tedesco. Grazie a un lampo di genio, con l’aiuto di un bastone, è riuscito ad attaccare il mio adesivo sul cartello, in alternativa troppo alto da raggiungere. Semplicemente un mito!

L’entusiasmo è scemato subito dopo, quando appena imboccata la discesa c’è stata un’altra foratura, questa volta di Mattia.

Dopo qualche inconveniente di troppo nella riparazione siamo finalmente riusciti a scendere di quota. Nonostante la giornata soleggiata le temperature erano scese parecchio. Arrivati a Santa Maria del Taro, prima della salita successiva decidiamo di fermarci per un pranzo veloce nel primo bar/trattoria che abbiamo trovato aperto.

Agli altri tavoli stavano servendo il pranzo di Pasqua. Mattia e Patrick hanno approfittato del fatto che eravamo in una trattoria per prendere un primo piatto. Io e Fede abbiamo optato per un panino con la frittata. Non potevamo immaginare che ci sarebbe arrivata una frittata con il panino. Comunque lo si voglia chiamare era la fine del mondo. Semplice ma squisito!

Carichi di nuova energia rimontiamo in sella alle nostre bici focalizzati sull’attacco dell’ultimo passo di giornata: il Passo del Bocco. Dopodiché ci sarebbe stato un lungo transfer, non pianeggiante, verso Brugnato, l’arrivo della nostra terza tappa.

Ad accoglierci al B&B Il Vecchio Noce la signora Rosanna.

Lavata via la stanchezza con una doccia rigenerante, nei nostri migliori abiti, gli stessi delle due sere precedenti, siamo usciti per cena. Una cena che difficilmente dimenticheremo, durante la quale abbiamo assaggiato i panigacci cucinati in tutti i modi e in tutte le salse. Essendo capitati in una panigacceria non c’era altro da mangiare.

Il panigaccio non è nient’altro che una specie di piadina da farcire ancora calda con salumi, formaggi, verdure o con miele o nutella nella versione dolce.

Non la cena che avremmo sperato ma comunque degna di nota, forse più per le risate che ci siamo fatti a tavola che per il cibo.

Giorno 4: Brugnato – Genova

Con uno schiocco di dita è arrivato lunedì mattina. Il Lunedì dell’Angelo. La signora Rosanna ci ha accolto nella sala colazione con un tavolo apparecchiato a festa: brioches, crostata con la marmellata, crostatine con la frutta fresca, cannoncini con la crema, fragole con mirtilli e l’immancabile focaccia a centro tavola.

Quando penso a un B&B penso esattamente a un posto come Il Vecchio Noce: una bella casa con delle belle camere, curate e accoglienti. Una signora affabile come padrona e una colazione da sogno.

Anche il nostro tempo a Brugnato era finito, quasi come il nostro viaggio. La Spezia era la direzione verso cui ci saremmo diretti.

“Sto facendo foto tutte uguali: mare, strada, montagne”

Federico aveva ragione, abbiamo pedalato su strade in mezzo a mare e montagne per chilometri e chilometri. Per quanto tutto questo possa apparire monotono, i miei occhi non ne erano mai sazi.

Abbiamo attraversato le Cinque Terre prima di iniziare la scalata al Passo del Termine a cui è seguito il Valico di Guaitarola e infine il Passo del Bracco.

Per strada abbiamo incontrato per ben due volte un’amica di Mattia, Anna, con il suo gruppo di amici della squadra Gio’n’dent di Milano. Abbiamo proseguito insieme per qualche chilometro per poi separarci a Sestri Levante.

A Recco l’ultima, doverosa, sosta da Focaccia d’Autore prima di dirigerci verso Genova, dove il nostro tour sarebbe finito.

In questi quattro giorni, insieme ai miei compagni di viaggio abbiamo pedalato e mangiato, mangiato e pedalato. Ci siamo sdraiati un po’ ovunque, dove ci è capitato: su prati verdi, sul bordo di una strada per riposare qualche minuto, nella piazza della stazione e nel vagone del treno.

Abbiamo parlato con i ristoratori che ci hanno accolto nelle loro strutture. Abbiamo raccontato del nostro viaggio e ascoltato le storie e gli aneddoti legati ai loro preziosi territori.

Mi sento dire spesso che sono sempre in giro, ma per quanto me ne vada in giro per me non è mai abbastanza. Non faccio in tempo a partire che mi sembra già ora di tornare. Passa sempre tutto così in fretta. Così per combattere la nostalgia per la fine di un’esperienza mi metto subito a pensare a quale potrebbe essere la prossima…

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Dalle donne per le donne: this is for me
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