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Stelvio Santini Experience

Ricordate le sensazioni che avete provato il primo giorno di scuola?

Entrare in classe e incrociare per la prima volta gli sguardi dei compagni con cui condividerete le vostre giornate. Presentarsi con poche semplici parole per far conoscere qualcosa di voi.

E poi, una volta rotto il ghiaccio, ritrovarsi a parlare, ridere e scherzare come se ci si conoscesse da sempre.

Giovedì pomeriggio, arrivata al Rezia hotel a Bormio non ero al mio primo giorno di scuola. Stavo per vivere qualcosa che per certi aspetti me l’ha ricordato.

Ad aspettare me e gli altri partecipanti provenienti da tutta Europa i team Polartec e Santini.

Francia, Germania, Austria, Svizzera, Inghilterra. Tante le differenze tra i rappresentanti di ciascuno di questi stati, differenze che si azzerano una volta saliti in sella alle nostre biciclette, dove siamo tutti uguali. Tutti parliamo la stessa “lingua”.

Venerdì mattina, vestiti di tutto punto con i kit Santini realizzati con tessuti Polartec che abbiamo trovato nelle nostre camere d’hotel, partiamo in direzione del Passo Gavia.

La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze avrebbe affrontato una salita inedita. Io mi sentivo a casa. Pedalare sulle strade che ho percorso in lungo e in largo questa estate mi ha fatto venire in mente tanti momenti e persone con cui ho condiviso quelle giornate. Una curva, un tornante, uno scorcio di paesaggio. Tutto è potenzialmente evocativo ai miei occhi. è tutto custodito nella mia memoria.

Arrivati in cima ci attendeva una ricca sosta al Rifugio Bonetta con Coca Cola, caffè e un vassoio con assaggi di torte e crostate per tutti i gusti.

Per la mia “salita” inedita avrei dovuto aspettare il pomeriggio. Non sarei stata in sella alla mia bici ma mi sarei trovata sulla cabinovia che da Santa Caterina avrebbe portato me e tutti gli altri a Sunny Valley, un mountain lodge a 2700m di quota.

É qui che ci è stata presentata il nuovo giubbino Santini Vega Absolute con membrana Polartec Power Shield Pro. Un giubbino dalle altissime prestazioni che promette al ciclista di pedalare con le temperature più rigide e in condizioni meteo avverse.

Con l’autunno alle porte e un inverno ad attenderci ci saranno lunghi mesi per poter testare l’ultima creazione di Santini in collaborazione con Polartec. Per quello ci sarà tempo. Questa invece era l’occasione di brindare e gustarci la cucina gourmet ad alta quota del Sunny Valley.

Difficile dire se mi abbia colpito più la particolarità, la cura e l’unicità del luogo in cui ci trovavamo, oppure il nuovo capo che avrò la fortuna di indossare una volta salutata l’estate, o ancora il carattere, la loquacità e il carisma delle sorelle Santini, Paola e Monica.

Forse la notte mi avrebbe portato consiglio. O forse non c’era bisogno di scegliere, perché ciascun aspetto della serata trascorsa, per un motivo o per un altro mi aveva stupito.

L’indomani, sabato mattina, ci aspettava una pedalata verso i laghi di Cancano.

Sulla salita io, Daniele, Ale e Leroy ci stacchiamo dal gruppo.

Io e Daniele parliamo un po’ della gara che ci aspettava il giorno seguente. Io alla mia prima granfondo, Daniele con un passato da corridore. Ha gareggiato nella categoria juniores, under 23 per poi entrare a far parte della squadra di Alberto Contador, la Fundaciòn Contador. Guida nazionale di cicloturismo sportivo presso l’hotel Rezia, Daniele è un ragazzo semplice, pacato, innamorato della sua terra, la Valtellina, e del ciclismo. Traspare da ogni parola che dice, da ogni racconto che condivide con me.

Il sabato pomeriggio trascorso all’expo dell’evento, a chiacchierare ed ascoltare il briefing tecnico in preparazione della mattina seguente. Il sabato sera cena tipica valtellinese a base di pizzoccheri. Non un tipico piatto pre gara, ma per lo spirito con cui avevo intenzione di affrontare la giornata seguente un bel piatto di pizzoccheri non mi avrebbe fatto di certo male. Semmai tutto il contrario.

La Granfondo deve essere motivo di divertimento, chi partecipa non deve avere la preoccupazione di partenze a 50 all’ora, magari rischiando anche inutili cadute”.

Sono le parole di Gianni Bugno, ex ciclista professionista, giratemi da un amico qualche giorno prima della manifestazione. Una delle mie paure era proprio quella legata alla partenza e alla foga dei partecipanti di aggiudicarsi un posto in testa alla corsa.

La decisione da parte dell’organizzazione di cronometrare solo i tempi in salita ha sicuramente contribuito a far sì che la mia paura non si avverasse.

La domenica mattina sarei partita alle 7 per affrontare il percorso lungo, che contava circa 150km con 4000m di dislivello da affrontare. La sveglia è suonata qualche minuto prima delle 5. Alle 5:30 ad attenderci nella sala colazione Ezio pronto a farci pane tostato, spremuta e accontentarci con ogni richiesta nonostante l’orario.

Gli chiedo una fetta di crostata, quella che lui la mattina precedente ha chiamato “la torta dell’atleta” e nel frattempo scambiamo qualche parola come consuetudine. Ci siamo presi da subito in simpatia e fare qualche battuta ci vien spontaneo.

Fuori non c’è un grado di troppo, la temperatura è perfetta. C’è quel po’ di tensione che non guasta, che sapevo sarebbe sparita una volta iniziato a pedalare. Mi succedeva la stessa cosa anche nelle gare di corsa.

Superato il momento della partenza lascio che le gambe girino con il pilota automatico fino a Bianzone, all’imbocco della prima salita: Teglio. A quel punto avrei dovuto riprendere il controllo della situazione che si sarebbe fatta interessante.

Durante questo tragitto incontro Davide, il Rega. Mi dice di aver riconosciuto da lontano in primis la mia bici. Vado fiera del fatto che la mia Factor Bike non passi inosservata, è successo anche a me la prima volta che l’ho vista. Ho capito subito che avevamo qualcosa in comune: il desiderio di essere uniche. Eravamo fatte l’una per l’altra.

La salita si inerpica su una strada stretta, in parte in mezzo a un boschetto per poi attraversare piccoli paesini fino a raggiungere Teglio. Nell’attraversare uno dei piccoli centri abitati saluto un’anziana signora sul balcone, affacciata ad osservare il passaggio dei ciclisti. Mi risponde al saluto, e una volta sorpassata le sento dire “ma è una donna!”.

Ebbene sì signora, sono una donna, una donna in sella a una bicicletta, in mezzo a tanti uomini. Ma non sono l’unica, perché in questa Granfondo è stato bello vederne tante altre mettersi in gioco, stringere i denti per raggiungere il traguardo finale. Ebbene sì signora, vedrà passare tante altre donne oltre a me, perché le donne hanno fame di km e sete di soddisfazioni da togliersi.

Arrivata in cima alla salita, bevo un bicchiere di Coca, mangio un quadratino di crostata e un pezzetto di banana prima di rimettermi in moto verso l’asperità che sapevo già mi avrebbe dato filo da torcere: il Mortirolo.

Ho pedalato fino in cima al Mortirolo più volte e su più versanti: Trivigno, Grosio, Monno e Mazzo, il più famoso e temuto. Il più temuto da tutti quelli che non sanno o ignorano l’esistenza di un quinto versante, quello di Tovo, ancora più estremo, ancora più estenuante. 11km d’inferno di cui gli ultimi 2 da percorrere su una mulattiera che presenta muri che superano il 20% di pendenza.

Non avevo idea di cosa mi aspettasse. Avevo provato a farmene una attraverso le descrizioni di altri, ma ho capito che la percezione di una salita è estremamente soggettiva. I racconti di terzi vanno ascoltati sì ma non presi alla lettera perché difficilmente avremo la stessa percezione di sforzo e fatica. Premesso ciò, ciascuno di voi saprà dare il “giusto” peso alla mia versione dei fatti.

Avevo messo in considerazione che sarebbe stata dura, ma non così tanto. Nei primi 9km vedevo oscillare sul ciclocomputer pendenze solo a tratti non inferiori al 18%. Sfruttavo le curve dei tornanti per rifiatare e recuperare energie, tutto da farsi in manciate di secondi perché poi la strada avrebbe ripreso a tirare. Sapevo che il peggio doveva ancora venire. Stavo preparando la testa a quello che sarebbe arrivato.

La strada si è fatta più stretta, così stretta che non è possibile asfaltarla perché la macchina per l’asfalto non ci passerebbe. La bici comincia ad assumere una posizione sempre più verticale. Per non ribaltarmi all’indietro mi piego con tutto il busto in avanti, quasi sdraiata orizzontalmente, aiutandomi a spingere in avanti la bici anche con le braccia perché le gambe da sole non sarebbero bastate. Lottando per non fare impennare la ruota anteriore procedevo lentissima, ma procedevo. Ed è così che ho superato il primo muro. Non sapevo che ne sarebbe seguito un altro, ancora peggiore e ancora più duro. É a questo punto che ho visto i ciclisti davanti a me sganciare prima un pedale, poi l’altro, scendere dalla bici e spingerla a mano. Era un’inferno. Non stavo più respirando, stavo rantolando, ma a qualunque costo avrei terminato la salita in sella alla mia bici, appoggiare il piede non era un’opzione contemplata. Mi conosco, non me lo sarei perdonata.

Keep the right please!” le uniche parole che mi sforzavo di pronunciare per evitare che i ciclisti a piedi davanti a me mi ostacolassero il passaggio. Non so dire con esattezza quanto sia stato lungo quel tratto di strada, so solo che mi ha spinto molto vicino al limite.

Superato anche il terzo e ultimo muro, più breve dei due precedenti, ho alzato lo sguardo e ho visto diverse persone in lontananza. Le cose erano due: o stavo avendo le allucinazioni oppure ero arrivata alla fine della salita.

Mai salita fu più dura, mai. Mi guardavo attorno per vedere le facce delle persone che come me ne erano reduci e catturarne gli sguardi, più o meno provati.

É stato bello come una ragazza tedesca mi abbia fatto i complimenti per aver terminato la salita senza mai fermarmi, e ancora al ristoro di Grosio, al termine della discesa, mi si sia avvicinato un signore e mi abbia detto “mi ha detto che non hai appoggiato il piede per terra, ne devi avere di forza, brava!”. Ho capito dopo, parlando con questo signore, che un altro ragazzo che mi aveva visto nel momento di massima sofferenza gli aveva riferito i fatti. Per circa 20 secondi mi sono sentita quasi una specie di sopravvissuta, ma sono tornata con i piedi per terra in men che non si dica. Non era ancora finita. C’era un ritorno a Bormio e infine uno Stelvio da affrontare.

La strada che da Sondalo mi ha riportato a Bormio è stata tutta in leggera salita, un mangia-e-bevi tutt’altro che riposante. Bello incontrare per strada Paolo di Spot-On in libera uscita. Riconosciuto dalla divisa brandizzata lo affianco e lo saluto a gran voce, come mio solito. Arriviamo a Bormio insieme, chiacchierando e sfruttando la scia di tre baldi giovanotti tedeschi che con fare cavalleresco ci hanno concesso un “passaggio”.

Arrivata a Bormio bevo un altro bicchiere di Coca e mangio un paio di pezzi di focaccia. Arrivo a un certo punto in cui preferisco il salato al dolce.

Inizio l’ultima salita della giornata. Quella che da il nome alle Granfondo. Quella che più o meno un anno fa era stata la prima vera salita. Ogni volta che sono sullo Stelvio mi ricordo di quel giorno e penso a quante vite abbia vissuto nel frattempo.

É così che in un primo momento mi distraggo dalla fatica, pedalando nei ricordi. Poi chiacchierando con Alessandro Vanotti e Fabio, membro del suo team, con cui ho condiviso alcuni km.

Sempre a parlare!” me lo sento ripetere spesso ultimamente, e riflettendoci chi me lo dice ha ragione. Quando sono in bici parlo quasi sempre. E sorrido.

Quando ti ho incrociato mentre scendevo dallo Stelvio e tu stavi salendo, nonostante la fatica stavi sorridendo”.

Vien facile sorridere quando stai facendo la cosa giusta nel posto giusto. La fatica fa parte del gioco, senza non sarebbe la stessa cosa, fa parte del divertimento.

Anche lo speaker al traguardo è rimasto probabilmente colpito dal sorriso con cui mi ha visto arrivare.

Mi ha fermata per farmi qualche domanda. A quel punto ho tolto gli occhiali e mentre gli rispondevo ho continuato a sorridere, questa volta anche con gli occhi.

Di questi giorni trascorsi nella mia cara Valtellina, di questa mia prima Granfondo non ho dubbi di cosa porterò con me: le persone. Ciascuna persona che è stata presente ha lasciato un ricordo indelebile. Non importa se ci abbia trascorso tanto o poco tempo, se ci abbia fatto solo un brindisi oppure le abbia detto solo ciao. Un sorriso, uno sguardo, come poteva essere quello di un volontario presente sul percorso di gara ha fatto la differenza. Ciascun membro dei team Polartec, Santini e del Rezia Hotel, che mi hanno coccolato sopra ogni minima aspettativa. I miei compagni di viaggio, che ho salutato con un arrivederci, con la speranza di poterli rivedere presto in giro per il mondo.

Porto con me le parole di uno striscione appeso per strada che ha catturato la mia attenzione:

Sognate qualcosa di buono che illumini il mondo, qualcosa di buono come voi”.

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