Ci sono persone capaci di tirare fuori il meglio di te, e poi ci sono città che riescono nella stessa impresa. Berlino è la mia città e sotto il suo cielo è successo qualcosa di totalmente inaspettato. Quando a inizio anno mi si è presentata l’opportunità di tornare nella capitale tedesca non ho avuto esitazioni e ho accettato la proposta del mio sponsor, Maurten. Non avevo mai sentito nominare la Generalprobe. È una gara che si presta ad essere una “prova generale” di nome e di fatto. Si corre 5 settimane prima della maratona di Berlino, nel quartiere di Steglitz, a sud della città, su un circuito di 10.5km da ripetere due volte per coprire la distanza della mezza maratona. Per chi preferisse qualcosa di più corto c’era anche la possibilità di partecipare alla 10km.
Un evento di modeste dimensioni, poco sfarzoso e rumoroso, con il ritiro pettorali all’interno di un centro commerciale, un pacco gara essenziale ma con il gadget più utile che si potesse trovare, ovvero un Gel 100 Maurten, e un pettorale stampato sul momento che ho dovuto maneggiare con cura per non far sbavare l’inchiostro. A tutti gli effetti una gara di quartiere, in un quartiere per me nuovo, dove non ero ancora stata in nessuna delle mie precedenti visite e che ho scoperto di corsa ma soprattutto in bici e monopattino insieme al mio compagno di avventura, Willy, Canzigram per gli amici di Instagram.
A Willy è subito piaciuta l’idea di accompagnarmi in questa trasferta, non c’è stato bisogno di insistere. D’altra parte lui adora viaggiare prendendo le gare come “pretesto” per farlo ogni volta che ne ha l’occasione. L’ho anche convinto a fare una shakeout run il sabato mattina, cosa che generalmente non faccio mai pre gara. Forse perché questa volta non sentivo nessuna pressione per la gara, non c’era tensione né preoccupazione. Solo un’immensa gioia di essere di nuovo a Berlino e poter correre in lungo e in largo nelle sue vie. Gli ho proposto di partire dall’hotel e arrivare fino alla porta di Brandeburgo, per iniziare la giornata spuntando una delle tante attrazioni che gli avrei fatto vedere nel giro turistico che lo aspettava.
Abbiamo corso 8km in linea retta, facendoci qualche foto e video a un ritmo non proprio blando, per poi tornare in hotel con il treno di superficie per non esagerare con i km prima della mezza maratona. Fortunatamente l’indolenzimento ai quadricipiti dovuto alla Grandardenno trail di domenica scorsa era quasi passato del tutto, ma non potevo di certo dire di avere le gambe fresche e riposate.
Anche il mio coach non sapeva cosa aspettarsi da questa gara. Più che delle indicazioni su come correrla ho ricevuto una proposta da parte sua: “Cosa ne pensi di affrontarla in modalità Filippide, cioè senza riferimenti del Garmin? Togli tutto dal display: velocità, passo, autolap”. Pensavo stesse scherzando, invece era serio. Mi è parsa una proposta assurda, che non ho pensato minimamente di seguire. Invece poi l’ho seguita, non tanto perché me l’avesse detto lui, ma perché l’ho deciso io. Ho voluto provare a correre ancora una volta dopo la Filippide senza riferimenti. Mi sono regolata solo sull’intensità della mia respirazione, sull’energia che sentivo avere nelle gambe e in tutto il corpo in generale. Ho preso questa decisione allo scattare del primo chilometro. Sentendo il suono del Garmin stavo istintivamente per guardare lo schermo per controllare con che passo fossi partita, poi mi son bloccata. Ho continuato a correre senza interrompere il movimento ondulatorio delle braccia e mi son detta che avrei provato a correre tutti i 21 chilometri senza mai guardare l’orologio.
A differenza della Filippide avevo i riferimenti chilometrici sonori del Garmin e della cartellonistica posizionata per strada. In questo modo sono riuscita a gestire bene l’integrazione durante la gara: un gel 100 5 minuti prima di partire, poi un gel 160 dopo 8km e un gel 100 caff 100 dopo 16 (per un totale di 90 grammi di carbo in 01:32:18 di gara). Avevo a disposizione anche il crono dopo il passaggio al primo giro. Sono passata quando era appena scattato il quarantaseiesimo minuto. Ho capito all’istante che per i miei standard stavo correndo forte, più del solito, ma non ho voluto farmi condizionare. Ho smesso di cercare di fare previsioni, ho allontanato ogni tipologia di pensiero e ho continuato con la mia strategia: ascoltarmi e affidarmi a me stessa. Non avevo niente da perdere ma tutto da guadagnare.
Ho mantenuto il respiro regolare, così come il ritmo dei miei passi. Ho superato chi lo aveva fatto con me in partenza. Non mi sono più sbracciata per salutare chi era sul percorso ad incitare chi stava correndo, ma gli ho rivolto comunque un sorriso per fargli capire che non era passato inosservato.
Ho saltato solo l’ultimo ristoro perché arrivata al 18° chilometro ho deciso che avrei bevuto a fine gara e di lì a poco avrei provato ad allungare. Al cartello del 20° chilometro ho immaginato di dover correre una ripetuta di 1000 metri, l’ultima. Non c’era più una strategia di gestione del respiro e delle energie: c’era solo da correre come se fossi stata inseguita da un branco di lupi, un’immagine che mi accompagnerà credo ancora a lungo dopo la Tre Campanili.
Ho tagliato il traguardo fermando il mio Garmin con un nuovo personal best segnato sullo schermo: 1 ora 32 minuti e 18 secondi. Non era cercato, pensato né voluto questo personal best, almeno non in questo momento, ma è arrivato. Nel corso dell’anno in più di un’occasione ho provato a migliorare il tempo fermato alla mezza di Vittuone del 2023 senza mai riuscirci né andarci vicino. Ed è quando smetti di provarci che ce la fai. Un po’ come chi cerca disperatamente una persona con cui condividere la vita: è quando smetti di cercare che trovi la persona che stavi aspettando. Non sempre chi cerca trova. A furia di cercare si rischia di perdersi o non godersi dei pezzi di vita.
Ancora una volta Berlino ha tirato fuori il meglio di me, guidandomi nelle sue strade per accompagnarmi verso un altro personal best, questa volta nella mezza maratona. La gara di domenica per me non è stata la prova generale in vista della maratona di Berlino, bensì una grande prova di consapevolezza che cercherò di sfruttare a mio vantaggio per proseguire la preparazione in vista della mia prossima maratona che questa volta sarà oltreoceano: tra 7 settimane volerò in America per correre la maratona di Chicago.