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Alla scoperta dei Monti Liguri di Ponente

Sabato 3 dicembre

Giorno 1

Stazione di Milano Centrale. La voce agli altoparlanti annuncia la partenza del treno delle ore 7:25, il mio. Mi catapulto alla carrozza di testa, quella riservata al trasporto delle bici, salgo e tiro un respiro di sollievo. Sarebbe bastato trovare un semaforo rosso in più sulla strada per raggiungere la stazione e ci sarebbero state buone possibilità di perdere il treno. Tendo ad arrivare sempre con largo anticipo proprio per non trovarmi in situazioni del genere. Sempre eccetto quel sabato mattina.

Anche Mattia ha avuto qualche piccolo inconveniente pre partenza, dovuto all’impossibilità di acquistare il biglietto online. Tutto si è risolto recandosi in fretta e furia in biglietteria per poi prendere il treno a Lambrate. Eravamo entrambi sul treno che ci avrebbe portato alla nostra destinazione di partenza: Genova.

Fatta una seconda colazione al chiosco di fronte alla stazione, in Piazza Principe, siamo pronti a partire.

I primi chilometri sono fuori dalla traccia ufficiale che avevamo deciso di seguire almeno in parte, quella della super randonnée dei Monti Liguri di Ponente.

Prendiamo una strada in salita che porta alla discarica del Monte Scarpino prima di raggiungere il Santuario di Nostra Signora della Guardia, il luogo ufficiale della partenza della randonnée che ha ispirato il nostro viaggio, la nostra avventura.

Alcune salite hanno più di un’anima che le rappresenta. Le anime sono i versanti della salita. Amerai, odierai, ricorderai quella salita in base all’anima che avrai conosciuto, al versante su cui avrai pedalato.

Avevo conosciuto un’anima dei Piani di Praglia lo scorso maggio. Sabato 4 dicembre ho pedalato su un versante diverso, caratterizzato da un paesaggio brullo, arido. Una desolazione che affascina, come un silenzio che assorda. Due temi ricorrenti nel corso del viaggio. Una natura selvaggia attraversata da una strada stretta e sinuosa. Ero già stata in quel luogo, ma ai miei occhi sembrava tutto così nuovo e diverso.

Il Passo del Faiallo invece lo ricordavo esattamente così: immerso in banchi di nebbia, come se facesse il timido e volesse mantenere un’aurea di mistero.

A modo suo anche il Passo del Beigua ha fatto inizialmente il misterioso, guidandoci in una strada immersa in un bosco che portava ancora i segnali del passaggio della neve. Poi la strada ha curvato, gli alberi si sono diradati e si è aperto un’immenso panorama di fronte ai miei occhi e a quelli di Mattia. Eravamo in cima al passo, sopra alle nuvole nell’ora che preferisco: il tramonto. Era il più bel finale di giornata che avrei potuto chiedere.

Domenica 4 dicembre

Giorno 2

Il secondo giorno è iniziato con il risveglio ad Alpicella, un paesino dove apparentemente “non c’è niente” ma dove noi abbiamo trovato tutto quello che ci serviva: un Alpimentari dove comprare un pezzo di focaccia al nostro arrivo nel pomeriggio di sabato, il primo di innumerevoli nel corso del viaggio, un b&b dove poter riposare e una trattoria dove rifocillarci la sera.

Luca, il proprietario milanese del b&b Villa Il Poggio dove abbiamo soggiornato, ci ha fatto trovare una ricca e abbondante colazione, dolce e salata all’orario richiesto. É uscito a prenderci le brioche fresche, ci ha preparato il cappuccino ed è rimasto con noi a chiacchierare, del più e del meno. Ci ha accompagnato a prendere le bici che ci ha fatto lasciare per la notte in un locale dedicato e ci ha salutato, con l’augurio di rivederci con la bella stagione, magari in primavera. Perché no?!

Il programma della giornata prevedeva il Colle del Giovo, il Colle del Melogno e il Giogo di Toirano, con arrivo ad Albavilla di Albenga. L’incontro con Roberta non era previsto.

Non potevo prevedere che al termine della bellissima e lunghissima discesa del Colle del Melogno avrei incontrato Roberta. É stata lei a riconoscermi, o meglio, a riconoscere la mia bici. Mi ha detto di seguirmi sui social, una chiacchiera tira l’altra, e invitarla a unirsi a me e Mattia per il finale di giornata è venuto spontaneo.

Abbiamo pedalato insieme fino in cima al Giogo di Toirano e ancora più su fino al Santuario di Monte Croce, introducendo una variante gravel al nostro giro.

Non conoscevo Roberta, non ci eravamo mai incontrate prima e sapevo poco di lei. Mi ha raccontato di come abbia iniziato a pedalare nel 2012, dopo il terremoto in Emilia, come mezzo di evasione da una situazione di estrema difficoltà. Le ho chiesto della sua pagina Instagram, Bikersperlemilia, e Roberta mi ha spiegato di come sia nata per raccogliere fondi per sostenere gli asili in quel periodo buio che la sua terra stava attraversando. Da quel 2012 ogni anno, con l’aiuto di altri, ha organizzato una raccolta fondi per sostenere ogni volta un progetto diverso, per dare una mano facendo quello che le piace fare: pedalare.

Roberta ha condiviso con me i racconti dei suoi viaggi, con tutti gli inconvenienti con cui si è dovuta confrontare, e di quanto la bici la faccia sentire libera.

Ho iniziato a riflettere sul significato della parola libertà. Libertà di prendere e partire, in sella alle nostre bici e andare in esplorazione di luoghi che si riflettano nei nostri occhi. Luoghi naturali, che non hanno bisogno dell’uomo, così come non ne hanno bisogno i loro abitanti, gli animali che popolano quelle terre e quei cieli. Non sono anche loro esseri liberi? Perché allora alcuni esseri umani si sentono in diritto di prendere fucili e minacciare la libertà altrui? Per gioco? Conosco giochi più divertenti che sparare addosso a un altro essere vivente semplicemente per passare il tempo. Gli uomini rivendicano da sempre il diritto di libertà, dimenticandosi che la libertà è di tutti, anche di chi è diverso da loro.

Arrivati ad Villanova d’Albenga abbiamo alloggiato tutti alla Locanda Barbacana. A cena ciascuno di noi ha condiviso espedienti riguardo le proprie esperienze per lo più ciclistiche. Tra un bicchiere di vino e una forchettata di pasta la serata è giunta al termine.

Lunedì 6 dicembre

Giorno 3

La sveglia non è mai suonata troppo presto. Ci siamo sempre più o meno svegliati intorno alle 7 per fare colazione con calma, riassemblare le borse e rimetterci in viaggio per le 9, un orario in cui le temperature erano tutto sommato accettabili.

Sarebbe stata una giornata “costiera” o forse sarebbe meglio definirla panoramica. Un Passo del Ginestro e un Colle d’Oggia per iniziare, iniziare a prendere confidenza con la sensazione di pedalare a un metro dal cielo. Davanti a me un’immensa distesa di monti e in lontananza lui, il mare.

A Montalto Ligure le nostre strade si sono separate da quelle di Roberta, con l’augurio di rivederci presto Mattia ed io abbiamo proseguito sul nostro tracciato, in direzione Bajardo, il borgo situato nel cuore delle valli imperiesi, anche rinominato da noi “il Gagliardo”, semplicemente per fare un po’ di sottile ironia.

Una strada stretta stretta, che si snoda timidamente dapprima su lato della montagna per poi nascondersi dentro ad un bosco silenziosissimo. Si sentiva solo il rumore delle nostre ruote che giravano sull’asfalto non sempre in ottime condizioni. Avevo quasi timore a parlare, come se qualcuno avesse potuto sgridarmi per rompere quel prezioso silenzio. Così non ho detto nulla, ho continuato a pedalare, immagazzinando quei momenti e quelle sensazioni di infinita pace.

Dopo un piccolo inconveniente con la bici di Mattia ripartiamo per l’ultima ascesa di giornata: Perinaldo. Non quello che definirei un finale in relax. Ma d’altra parte se avessimo voluto riposare non ci saremmo nemmeno messi in viaggio.

Raggiungiamo Dolceacqua attorno alle 17:30, quando era già buio, per poi girare mezz’ora in cerca del nostro b&b, prenotato il giorno precedente non senza poche difficoltà. Essendo un periodo “morto” molte delle strutture che abbiamo contattato erano chiuse ed altre erano troppo isolate senza avere un locale vicino dove poter cenare.

Ad accoglierci al b&b Talking Stones la signora Monika, originaria del villaggio tedesco di Rothenburger, villaggio da cui solo successivamente ci ha confidato di essere “scappata” a causa della mentalità chiusa dei suoi abitanti.

Monika gestisce il b&b dal 2005 che all’epoca contava solo una camera. Oggi ne ha 5 in un ambiente completamente ristrutturato, caldo e accogliente. Ci ha raccontato di come tutti, o quasi, in paese abbiano un’attività tipo la sua e di come talvolta cerchino di farsi le scarpe mettendosi i bastoni tra le ruote gli uni con gli altri. Lei si tira fuori da queste diatribe di paese e vive la sua vita prendendosi cura della sua attività e dei suoi ospiti, facendoli sentire come a casa.

Alla conclusione della terza giornata Mattia ed io finalmente ci mangiamo il tanto atteso piatto di trofie con pesto e fagiolini. L’unica pecca è che non ci siano state anche le patate. A differenza delle altre sere non avevamo l’incombenza di metterci a cercare l’alloggio per il giorno successivo incrociando le informazioni di Google con quelle di Booking. Il giorno seguente sarebbe stato il quarto e ultimo, al termine del quale saremmo rientrati a Milano, a casa.

Martedì 7 dicembre (Sant’Ambrogio)

Giorno 4, l’ultimo

Monika ci accoglie a colazione con un dolce natalizio tipico tedesco, lo Stollen, un pane dolce speziato arricchito con frutta secca e candita. Quel che ci voleva per darci una bella carica di energia.

Fuori il cielo era terso e il sole già alto nel cielo, pronto ad illuminare la nostra strada. Salutiamo Dolceacqua anche in questo caso con il pensiero di ritornarci durante la stagione più calda. Pedaliamo in direzione Pigna, con nel mirino la Colla di Langan, la seconda salita più lunga per distanza e ascesa dell’intero viaggio insieme a Bajardo e una terza che avremmo affrontato in seguito.

Un’altra bellissima salita, abbastanza regolare, senza strappi troppo impegnativi, che ti accompagna fino alla fine, facendoti distrarre con il contesto che la circonda, una natura incontaminata.

Meno piacevole è stata la discesa fino ai Molini di Triora che essendo tutta completamente all’ombra è stata decisamente fredda, talmente fredda che ci è “costata” una sosta tè al bar per riprendere temperatura, che avremmo comunque ripreso da lì a poco in vista dell’ultima salita che ci attendeva: il Passo Teglia.

“Il Gavia imperiese” così me lo ha descritto Mattia che conosceva già il passo, pur non avendolo mai affrontato in salita dal versante che avremmo fatto noi. In un primo momento pensavo si riferisse al fondo stradale sconnesso, che effettivamente ricorda quello del Gavia sul lato di Ponte di Legno. Poi però, più salivo e più mi convincevo che il paragone si riferisse ad altro.

Guardavo tutto ciò che mi circondava, con lo sguardo perso nell’orizzonte, distratta a tal punto da zigzagare sulla strada senza nemmeno rendermene conto. Ero ipnotizzata.

Mi hanno riportato sul pianeta terra i 5 cani che vedendoci in lontananza ci sono corsi incontro con fare tutt’altro che amichevole, e che Mattia ha prontamente fermato facendo dapprima la voce grossa e poi scendendo dalla bici, mettendola tra noi e loro. Così facendo, mi ha poi spiegato, i cani sono in grado di riconoscere l’umano che con casco e occhiali in sella alla bici assume più le sembianze di un alieno ai loro occhi. Così siamo riusciti a passare, non senza un bello spavento da parte mia. Altra esperienza da aggiungere al portfolio.

Dopo il Passo Teglia è seguita Cartari, una deviazione in salita che ci ha permesso di raggiungere la strada panoramica che ci avrebbe condotto ad Alassio, ripercorrendo una piccola parte di tracciato sul quale eravamo già passati il giorno precedente ma in direzione contraria.

Non c’era stanchezza in quelle ultime pedalate, c’erano solo tante immagini nella testa, tanti pensieri che cercavo di tenere a mente per poi poterli mettere nero su bianco su queste pagine. Alcuni sono riuscita a trattenerli, altri purtroppo no. La mente viaggia più veloce delle gambe, e anche se ho cercato di tenere degli appunti c’è sempre qualcosa che sfugge.

Alassio era ai nostri piedi, illuminata dalle luci delle case e dei lampioni. In pochi minuti saremmo diventati parte integrante di quel gioco di luci, contribuendo con quelle montate sulle nostre bici.

Sul treno leggo un po’ dei messaggi che mi sono arrivati sul cellulare e inizio a rispondere. Poi apro Instagram e leggo un commento a una storia che ho pubblicato nel corso della giornata:

Mi spiace che non corri più sei ormai una ciclista a tutti gli effetti, ma devo dire che ora mi piace molto di più seguirti perché quello che fai è davvero una gran figata! Fai venire voglia di bici, di chilometri e di avventura…

Le parole di Simone, un mio amico ultra runner, se in un primo momento mi stavano rattristando al pensiero di quello che non sono più, mi hanno fatto sentire in seconda battuta come avvolta da un grande abbraccio rassicurante. Non si sceglie di seguire, appoggiare, supportare e credere in un runner o un ciclista di per sé, ma in una persona. Che io corra o pedali è un dettaglio, il minimo comune denominatore è Sara. E chi è Sara? Sara è “la presa bene”, quella che il weekend non è (quasi) mai a casa, quella sempre entusiasta di fronte a proposte che i più considererebbero “folli”. Sara è la ragazza che è partita per un viaggio di 4 giorni in bikepacking alla scoperta dell’entroterra ligure. La fine del viaggio per lei non è il rientro a casa, ma la stesura del racconto del viaggio stesso. Le parole la aiutano a imprimere i ricordi dentro di lei. Quel momento sancisce la fine del suo viaggio. Ma ogni fine rappresenta un nuovo inizio

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Partire, non fuggire
Luca Bike Lab

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