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I primi passi nel mondo dell’alpinismo: sulla cresta delle Aiguilles Marbrées

Adoro l’estate. Amo che le giornate siano più lunghe. Amo il caldo e quell’atmosfera di spensieratezza che porta con sé. Da podista questa è la stagione per cimentarsi nei trail ma soprattutto per gettare le basi della preparazione della maratona autunnale. Quest’anno no. Nessuna gara, nessun obiettivo nel mirino. Con questa nuova forma mentis ho deciso di voler trascorrere l’intera estate alla scoperta della montagna, godendomi ogni sua minima sfaccettatura.

L’idea

Insieme a Carlotta è nata così l’idea di avventurarci in un percorso nuovo per entrambe: quello dell’alpinismo. Entrambe digiune di questa disciplina ci siamo fatte ispirare dall’impresa di Alessandra Boarelli, la prima donna in Italia ad aver conquistato il Re, il Monviso, e abbiamo deciso che quella sarebbe stata la vetta da raggiungere.

L’imprevisto

A un giorno dalla partenza tutto era pronto, noi in primis, entusiaste di condividere questa nuova esperienza. Ma c’è stato qualcosa a cui non eravamo pronte: delle pessime previsioni meteo, e quando si parla di maltempo in montagna non c’è da improvvisarsi eroi.

Il piano b

Cosa fare? Posticipare la scalata al Monviso si è rivelata la scelta più saggia, le possibilità di insuccesso dovute al brutto tempo erano troppo elevate. Tuttavia la voglia di metterci alla prova in qualcosa di nuovo era alta. Ci serviva un piano b. Per stabilirlo abbiamo fatto affidamento sulla nostra guida, Jacopo, che grazie alla sua esperienza e conoscenza ha saputo consigliarci e guidarci verso la nostra scelta.

Le Aiguilles Marbrées

Con la previsione di posticipare la scalata al Viso a settembre l’alternativa più sensata ci è sembrata quella di sfruttare l’imprevisto a nostro favore considerandolo un’opportunità per prendere dimestichezza con una disciplina sconosciuta. Il terreno di prova sarebbero state le Aiguilles Marbrées sul Monte Bianco. Sveglie dalle 4 del mattino ci siamo messe in viaggio verso Courmayeur e insieme a Jacopo abbiamo preso la Skyway delle 7:30, la funivia che conduce ai piedi del Rifugio Torino, punto dal quale sarebbe iniziato il nostro avvicinamento alla parete rocciosa.

Il primo step da superare è quello dell’adattamento all’altitudine: la Skyway fa passare dai 1.224m di Courmayeur ai 3.375m del Rifugio Torino, un gap notevole raggiunto in pochissimo tempo che va ben metabolizzato. Il secondo riguarda l’indosso di tutto il materiale tecnico e di sicurezza: l’imbrago e la relativa legatura delle corde per consentirci di procedere in condizione di sicurezza, i ramponi per la fase di avvicinamento alla roccia attraverso il ghiacciaio, gli occhiali da sole con lenti molto scure (categorie 3-4) e la protezione solare sulle parti esposte, quindi principalmente viso, collo e mani. Nella scelta dell’abbigliamento abbiamo seguito le indicazioni di Jacopo, indossando un primo strato con sopra un pile leggero, un pantalone lungo da alpinismo e una scarpa, anche bassa, da avvicinamento, con suola rigida affinché potesse far bene trazione e presa sulla roccia.

I primi passi con i ramponi sono stati goffi, incerti, ma è bastato procedere poco in avanti per prendere dimestichezza con questo nuovo strumento. In fila indiana, con la guida davanti a noi, tutti e tre legati dalla corda, abbiamo proceduto in direzione delle Aiguilles Marbrées.

Sullo sfondo il Dente del Gigante

Arrivati sulla roccia abbiamo tolto i ramponi e indossato il caschetto. Immediatamente Jacopo ci ha spiegato che l’arrampicata si basa prevalentemente sullo spostamento e la forza delle gambe, contrariamente a quello di cui ero convinta io. È così iniziata la nostra ascensione.

Inizialmente muovermi sulle rocce non è stato semplice. Oltre ad avere il fiato corto a causa della quota, la difficoltà maggiore che ho avuto è stata non vedere i punti di appoggio. La conseguenza è stata bloccarmi in alcuni passaggi non avendo la minima idea di come procedere. Il segreto sta nell’osservare attentamente la roccia e individuare quei punti in cui è di colore più chiaro, quasi biancastro, segnale che ne identifica “l’usura” e di conseguenza un punto di passaggio. È preferibile procedere a piccoli passi, in modo tale da avere sempre il completo controllo dei movimenti. Così facendo, cercando di prendere sempre più confidenza sulla roccia, siamo arrivate in cima alla cresta e lì abbiamo fatto una sosta per ammirare l’immenso panorama che si estendeva davanti ai nostri occhi.

Dopo aver bevuto e sgranocchiato un barretta ci siamo rimessi in moto per concludere il nostro percorso. I passaggi più difficili ce li eravamo lasciati alle spalle. Ci aspettava solo un’ultima prova da superare: lasciarci calare lungo la parete. Io e Carlotta ci siamo guardate perplesse, non ne eravamo molto convinte. Poi osservando la precisione di Jacopo nel sistemare corde, nodi e moschettoni mi sono tranquillizzata e ho acquisito sicurezza. Seguendo alla lettera le sue spiegazioni, cercando di mantenere il corpo morbido, con il busto arretrato e i piedi ben saldi e ancorati alla parete, scendere per me è stato più semplice del previsto, e contro ogni previsione anche divertente e per nulla pauroso.

Dopo 5 ore siamo rientrati al Rifugio Torino, stanche ma fiere di noi. Ciascuna ha affrontato e superato le paure che avrebbero potuto bloccarla lungo il tragitto, e ne siamo uscite entrambe vincitrici. Il meteo almeno sul Monte Bianco è stato dalla nostra parte, assistendoci praticamente lungo tutto il nostro tracciato e peggiorando solo nella fase finale.

Con il senno di poi io e Carlotta siamo quasi più felici che le cose siano andate così: ieri, 12 agosto, sulla cresta delle Aiguilles Marbrées abbiamo iniziato un percorso nel mondo dell’alpinismo, e l’abbiamo iniziato dalle basi com’è giusto che sia, cercando di apprendere le prime nozioni per impratichirci sul campo. Quello che abbiamo intenzione di fare è proseguire gradualmente, per step. Il prossimo sarà senza dubbi il Monviso, ma chissà che non ce ne siano altri in futuro.

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PERFORMANCE: l’occhiale
Prima prova: lo Stelvio

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