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Maratona della Valle Intrasca

A volte i titoli ingannano. Così come i nomi delle gare. La maratona della Valle Intrasca non è una maratona perché non si corre su strada e non è nemmeno lunga 42 chilometri e 195 metri. Perché chiamarla maratona allora? Per una questione di “eredità” storica del nome che è stato tramandato dalla prima edizione fino alla sua 49ª, quella che si è tenuta lo scorso 1 giugno.

L’idea di aggiungere questa gara al mio calendario già discretamente pieno risale alla stagione scorsa. A mettermi la pulce nell’orecchio è stato Daniele Lissoni, ultra runner amico della mia amica Caro, che ho conosciuto esattamente un annetto fa alla staffetta 24x1h organizzata da DonKenya. Era la prima volta che la sentivo nominare questa “maratona” e ricordo di aver subito drizzato le orecchie: una gara di corsa in montagna a coppie di circa 33km e 1600m di dislivello. In quel momento non sapevo ci fosse un’altra distanza, più breve, di 17km e 450m di dislivello che tuttavia, in totale onestà, non avrei preso in considerazione.

Sullo slancio del terzo posto ottenuto come coppia mista con IL Motta alla classica Monza Montevecchia ho pensato di aggiungere alle gare in programma la maratona della Valle Intrasca. L’idea era di fare un altro bel lungo intenso e con dislivello in vista della Monza Resegone di fine giugno (e una ResegUp nel mezzo).

Essendo una gara da correre in coppia, ho scelto come compagno di avventura e fatica Umbi, un amico con tanta esperienza nella corsa in montagna che dopo un periodo di gare su strada ha deciso di tornare sui sentieri per correre il prossimo settembre il TOR130. L’esitazione è stata pari allo zero quando gli ho chiesto di partecipare con me alla gara.

Entrambi non sapevamo bene cosa aspettarci non avendo mai corso in quelle zone. Non ci siamo fatti nemmeno grandi aspettative. L’intenzione era di trascorrere una domenica sportiva fuori porta e tornare a casa con un po’ di “fieno in cascina” (chilometri e dislivello nelle gambe) ognuno per i propri obiettivi futuri.

Un’altra cosa che non avevamo considerato era la sveglia alle 4:30 la domenica mattina, che tuttavia non ci ha impedito di chiacchierare per tutta la durata del viaggio in macchia, di poco più di un’ora, da Milano a Verbania.

Pettorale 145 per noi su un totale di 205 coppie iscritte alla gara principale, ossia la lunga. Ritirato la mattina stessa insieme al pacco gara e al gilet celebrativo di questa edizione, l’ho fissato alla cintura porta pettorale e non direttamente alla canotta sulla quale avrei indossato il vest (profanamente chiamato “zainetto da trail”). Prima di entrare nella zona di partenza per ciascun concorrente si è svolta la punzonatura: con un’apposita apparecchiatura i membri dello staff hanno “scannerizzato” i pettorali per verificare la corretta registrazione dello stesso e poter garantire un maggior livello di controllo e sicurezza nel corso della gara.

Alle 8 in punto siamo partiti senza nessuna pressione né ansia ma con la sensazione di avere una zavorra addosso, “colpa” delle due flask da 500ml piene d’acqua e Drink Mix 160. Con il passare dei chilometri ci ho fatto l’abitudine, anche perché l’attenzione si sarebbe spostata altrove. Per esempio sull’interminabile sequenza di scale e scalini che si sono susseguiti un volta lasciata la strada asfaltata per quella sterrata. Non è stata una partenza in salita nel senso letterario del termine. I primi chilometri si son corsi su strada, anche abbastanza pianeggiante, consentendoci di scaldare le gambe e prendere il ritmo. Una volta che la strada ha iniziato a salire non ha praticamente più mollato fino al raggiungimento della vetta rappresentata dal Pizzo Pernice a circa 1500 metri di quota.

Il cielo era coperto e l’umidità era alle stelle. Oltre alla sensazione che mi si stesse sciogliendo la faccia non riuscivo nemmeno ad appoggiare le mani sui quadricipiti per aiutarmi perché scivolavano via tanto stavo sudando. Facevo fatica anche a rompere il fiato perché la pendenza del tracciato era irregolare e obbligava a continui cambi di ritmo. Insomma, da subito ho capito che sarebbe stata più dura di quanto avessi immaginato.

A mitigare la fatica ci hanno pensato i tifosi scatenati appostati nelle frazioni che abbiamo attraversato: Cambiasca, Ramello, Caprezzo, Intragna e Miazzina ci hanno accolto tra il suono di campanacci, applausi e un’atmosfera di gran festa. E per ingannare l’attesa degli atleti, i supporter si intrattenevano con musica, cibo e birra a volontà che offrivano anche ai corridori al posto dei classici sali minerali. La tifoseria non si è fatta spaventare nemmeno dalla distesa di nebbia che avvolgeva il Rifugio del Pian Cavallone, un punto saliente della gara e primo cancello orario dei due previsti da regolamento.

La nebbia ci ha accompagnato nella distesa erbosa e nella prima discesa tecnica che ci ha condotto ai piedi dell’altro punto saliente della gara, il Pizzo Pernice, passaggio che già da solo vale l’intera partecipazione alla gara.

Sembra di essere a Zegama” (per chi frequenta l’ambiente del trail la reference sarà molto chiara) è stato il commento di Umbi al boato che abbiamo iniziato a sentire da lontano, ancora prima di vedere l’orda di persone pronte a incitarci con tutta la voce che avevano in gola. Noi eravamo senza fiato per l’ennesimo, questa volta ultimo, strappo in salita prima di raggiungere la vetta, ma le persone attorno a noi lo erano altrettanto, seppur per un motivo diverso. Nonostante la fatica per aver corso circa 19 chilometri con tutto il dislivello positivo nelle gambe quelle urla, così forti ma così intense, hanno reso quel passaggio rapido e indolore. È stato come se quelle persone avessero metaforicamente appoggiato tutte insieme le mani sulla mia schiena per spingermi in avanti e darmi un po’ di sollievo da quella fatica.

Se quel tratto, per quanto breve, era passato in un attimo al contrario la discesa che ci avrebbe riportato in piazza Ranzoni per tagliare la linea del traguardo sembrava non finire mai. Quegli ultimi 13km sono sembrati infiniti per via della mia poca confidenza con il correre in discesa saltellando tra un sasso e l’altro, delle energie che andavano esaurendosi sempre più oltre a qualche acciacco fisico che mi sta tormentando in quest’ultimo periodo.

Ma come mai due bei giovanotti come voi sono arrivati solo ora?!” sono state le parole di un volontario incontrato negli ultimissimi chilometri della gara. “Il fatto è che il percorso era così bello che ci siamo soffermati a godercelo” è stata la mia risposta, un po’ romanzata ma sincera. La maratona della Valle Intrasca è una gara tanto dura quanto bella da cui ho ricevuto una sberla in piena faccia. Correrla mi ha richiesto uno sforzo fisico e mentale oltre la media al contrario di Umbi che ha finito meno sfatto e sudato di me. Questa gara è stata per noi una di quelle rare occasioni che abbiamo per correre insieme, condividendo la scoperta di un evento organizzato alla perfezione e di un territorio che entrambi non conoscevamo, che ci ha lasciato un ricordo speciale, oltre a un gran bel mal di gambe. 

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Padova Marathon

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